Sembrava impossibile, eppure è accaduto: siamo usciti dal loop dell’eterno ritorno agli anni ’80 che ormai tra cinema e serie stava creando artificialmente una memoria collettiva persuasa che gli eighties fossero stati una sorta di Paradiso Perduto a cui anelare. Il merito è di Yellowjackets, la serie Showtime che ha permesso un balzo in avanti per approdare finalmente agli anni ’90, dove la musica è migliore e la moda meno imbarazzante. Non solo, la serie ha anche dimostrato che dopo Lost è ancora possibile incentrare una storia su un disastro aereo, i superstiti e l’isola su cui finiscono, senza che questa risulti in un prodotto derivativo, un mezzo plagio, o semplicemente fuori tempo massimo.  

La storia è quella di una squadra di calcio femminile del liceo che nel 1996 resta vittima di un disastro aereo mentre sorvola il Canada. Le ragazze sopravvissute, insieme al coach – unico adulto – e due fratelli, si ritrovano su un’isola imprecisata e ben presto diventa chiaro che i soccorsi non arriveranno tanto in fretta come sperato, e forse non arriveranno mai. A quel punto le dinamiche del gruppo, e le esigenze individuali, si accordano – non senza conflitti – sull’obbiettivo comune: sopravvivere, quando per “sopravvivenza” si intende soprattutto avere da mangiare. [Da qui in avanti SPOILER]

yellowjackets

Sappiamo da subito che i soccorsi sono in realtà arrivati, ma dopo 19 mesi, che almeno cinque di loro ce l’hanno fatta, e che a distanza di venticinque anni sono ancora oggetto di curiosità e attenzione morbosa. Ma la primissima sequenza ci mette di fronte a una realtà inquietante: la permanenza sull’isola ha in qualche modo favorito la nascita di un culto che ha portato alla celebrazione di rituali sfociati nel cannibalismo. La serie racconta tutto questo attraverso l’alternarsi di due linee temporali: quella relativa alla vita sull’isola, e il presente in cui seguiamo le protagoniste adulte e ultraquarantenni che devono guardarsi le spalle perché qualcuno, interessato al loro passato, le ricatta. 

La serie si focalizza soprattutto su Nat (Juliette Lewis/Sophie Tatcher), Misty (Cristina Ricci/Samantha Hanratti), Shauna (Melanie Linskey/Sophie Nelisse) e Taissa (Tawny Cypress/Jasmin Savoy Brown) sia nel tempo presente che nel passato dell’isola, ma è il personaggio di Jackie (Ella Purnell), la capitana della squadra, a funzionare da spartiacque.

Le linee temporali su cui gioca avanti e indietro Yellowjackets sono principalmente due, ma in realtà ce n’è una terza. Conosciamo, infatti, le protagoniste da prima del disastro aereo: le ragazze ci vengono mostrate in un momento peculiare della loro vita, quando sono sul punto di diventare donne, sono campionesse che devono fare squadra, sono adolescenti che flirtano prima ancora che con i rispettivi love interest proprio con l’idea stessa del sesso, e sono tutto questo all’interno di una società che le spinge a incasellarsi in un ruolo, esattamente come accade in campo.

In tutto questo Jakie – bella, bianca, vincente, di buona famiglia – è la it girl, la ragazza che ha tutto e che la società predilige come modello. Quando la ragazza viene convocata dal coach, lui le fa subito presente che non è stata scelta come capitano perché è la migliore in campo, la giocatrice con più talento o la più veloce, ma è la persona a cui secondo lui le compagne guardano quando c’è bisogno di una guida, e così dicendo la esorta a farsi carico di questa responsabilità. I motivi per i quali viene considerata una leader naturale, però, non sono più spendibili in un contesto in cui sei rispettato non per l’dea che incarni, ma per quello che sai fare, e Jackie sull’isola non sa cacciare, si rifiuta di lavorare la carne, è l’ultima a svegliarsi.

Jackie è la prima – e forse l’unica – persona a morire non a causa del disastro aereo, o per un tragico incidente, né la sua è una morte ritualistica: la ragazza muore perché espressione di un mondo che sull’isola non ha più motivo di esistere, così come con la morte di Laura Lee è sparita dall’isola la religione come la intendiamo all’interno della società civile. Quando il corpo assiderato di Jackie viene rinvenuto è come se le ultime vestigia della civiltà e della civilizzazione abbandonassero per sempre le compagne che a conti fatti l’avevano espulsa dalla loro cerchia spalleggiando Shauna.

È anche interessante notare come il gruppo abbia iniziato a sviluppare una nuova morale, anche sessuale. Shauna è addirittura rimasta incinta del fidanzato di Jackie la quale ha quindi ha subito un doppio tradimento: del fidanzato e della migliore amica. Jakie, dal canto suo, è stata con Travis in un momento in cui Travis e Nat si erano lasciati da mesi. Eppure è chiaro come il giudizio delle compagne condoni Shauna, ma condanni Jackie: i legami che si formano sull’isola sono ormai gli unici che contano.

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Se l’arco narrativo che si sviluppa sull’isola è ricco di suggestioni horror e delirio mistico/orgiastico a puntellare la prova di sopravvivenza delle ragazze – le figure maschili sono caratterizzate, ma subalterne alla presa di potere delle fanciulle – la storyline del presente ha un intreccio più mondano, ma ugualmente attraente. Il mistero che accompagna le sopravvissute necessita di lavoro investigativo, più che cerimoniale, anche se ovviamente tutto ciò che accade alle donne è una diretta conseguenza dell’esperienza che hanno condiviso, e le ex calciatrici sanno essere risolute e letali tanto quanto lo sono state le loro controparti adolescenti. Non sorprende, dunque, l’enorme successo ottenuto dalla serie che ha saputo padroneggiare vari generi ciascuno dei quali ha sollecitato una pronta risposta del pubblico: dalla curiosità, alla sorpresa, al raccapriccio, tutto canalizzato e sublimato da interpretazioni impeccabili sia da parte del cast teen, che di quello adulto. Il mistero, però, chiama sempre per risoluzioni all’altezza delle promesse e si spera che la lezione di Lost – mai mettersi in un angolo dal quale è impossibile uscire – sia stata appresa.

Oltre alla serie di Lindelof e Cuse, la componente horror ricorda Midsommar e nel mix è presente anche una nota di The Beach (uscito proprio nel 1996), ma c’è un altro rimando che secondo me è ancora più pertinente.

Nel 1992 la Chirstian Coalition dell’Iowa inviò una lettera a tutti i cristiani sello Stato per esortarli a opporsi a una legge che secondo loro avrebbe portato avanti la temibile agenda femminista, e le motivazioni sono state così espresse: “Feminism encourages women to leave their husbands, kill their children, practice witchcraft, destroy capitalism and become lesbians“. Adesso ditemi se questa, molto più di Lost, non sembra essere la vera ispirazione di Yellowjackets.

 

 



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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